martedì, dicembre 08, 2009

SEGNALAZIONI. 03: Tonari no Totoro

Finalmente è uscito (a dicembre in affitto e dal 7 gennaio per acquistarlo).
Mi limito a postare il video della scena del sogno...











mercoledì, novembre 18, 2009

SULLO SCAFFALE. 01: Mignola/Golden, Baltimore

Approfitto della funzione "blog this item" di aNobii per creare una nuova etichetta e riempire le voragini tra un post e l'altro...

More about Baltimore
POST-GOTICO...
Una piacevole sorpresa. Conosco e amo il Mignola autore di fumetti da anni (con l'adattamento che ha fatto insieme a Howard Chaykin di una manciata di racconti di Leiber con protagonisti gli spadaccini/ladri Fafhrd e Gray Mouser si è guadagnato la mia eterna gratitudine...). Ad attirarmi è stata la copertina: difficile non riconoscere lo stile di Mignola e con quella malinconica figura di cacciatore achabiano gettata lì a mo' di esca non potevo non essere risucchiato dal maelstrom.
Il romanzo si snocciola come una rivisitazione del "gothic novel", un rosario di storie incastonate a corona intorno alla vicenda principale, in omaggio alla tradizione letteraria del genere e ai suoi successivi sviluppatori (Stoker innanzitutto, ma non solo...). Una riscrittura ben riuscita e molto ben tradotta (così a orecchio... senza aver sotto mano il testo originale). Lettura goduta e caparbiamente ricercata nei pochi momenti liberi di questo periodo... perché le vicende avvincono e i personaggi, necessariamente da "bassorilievo" (come il distintivo tratto grafico caratteristico del Mignola disegnatore...), conquistano pur nella (anzi, proprio per la) loro semplicità stereotipica. Almeno fino a cinque pagine dalla fine, dove si ha l'impressione che le necessità editoriali di un finale aperto a seguiti e serializzazioni abbia ferocemente fagocitato il finale "mobydickiano" che la vicenda meritava...

lunedì, ottobre 26, 2009

PARATESTI. 04: Il mio nome è Quinn... no, Bond. James Bond

In onore del lisergicosteronico volume appena sfornato dai saldatori, un omaggio d'atmosfera alla spia d'azione per eccellenza, da cui il Casanova di Fraction e Ba deriva e a cui si rifà (con un bel po' di altro nel mezzo, come non manca di rilevare l'ottima intro di Mr. Voglino, proteiforme traduttore di quest'avventura perfetta... ma avrò modo di dirlo altrove).
Godetevi questa carrellata di oltre 50 anni di opening titles "seminali" del celeberrimo agente segreto.
















TRIVIA. 03: Studenti in gamba

LipDub (ovvero "video in playback con sincro labiale") realizzato durante la settimana d'integrazione delle matricole dell'UQUAM (Université du Québec à Montréal, in Canada) con 172 studenti di comunicazione. Girato il 10 settembre 2009 in 2 ore e 15 minuti.



Estiquattsi!

[grazie, Mattia]

domenica, ottobre 25, 2009

SEGNALAZIONI. 02: La Genesi secondo Crumb

In un articolo dal titolo "Gods gets graphic" apparso il 22 ottobre scorso sulla versione digitale della Sunday Book Review del New York Times, David Hajdu recensisce The book of Genesis, "novelizzazione grafica" del primo libro della Bibbia da parte del decano underground Robert Crumb (THE BOOK OF GENESIS, Illustrated by R. Crumb, senza indicazione di pagina, W. W. Norton & Company. $24.95).
Qui trovate anticipate le prime tre pagine.
[l'immagine è ripresa dall'anticipazione linkata]

giovedì, ottobre 22, 2009

SEGNALAZIONI. 01: Rusty dogs

Il logo è di Mauro Mura, ma il progetto è di Emiliano Longobardi. Che è un amico e un animo affine e ha tenacia da vendere. Dal suo post di presentazione sul blog di Rusty Dogs: "Rusty Dogs sarà un blog che raccoglierà storie brevi scritte da me e disegnate da (almeno) trentotto disegnatori italiani attualmente a lavoro con alcuni dei più importanti Editori nazionali e stranieri.
Il genere sarà il crime-noir, l’abusatissimo crime-noir che mai come in questi anni è stato declinato fumettisticamente (e non solo, anzi) in tutte le salse e a qualsiasi latitudine (se volete farvi un'idea di cosa possa essere attualmente reperibile in Italia, potete fare un salto qui): a voi decidere se Rusty Dogs lo farà in maniera convincente o meno."
In bocca al cane lupo a tutti gli imbarcati! Andate a visitare regolarmente (e portatevi l'antitetanica!)

martedì, ottobre 06, 2009

BIBLIOTECHE. 01: Zappa sui piedi (so io il perché!)

Tanto per farmi del male e anche per dare un senso un po' più concreto al titolo del blog ("library mouse" è un calco forzato inglese dell'espressione italiana "topo di biblioteca"), inauguro l'etichetta "biblioteche" con la segnalazione di un articolo-intervista di Sara Del Corona intitolato "Book Club" e apparso nell'insolita cornice della rivista Marie Claire di settembre (ma recuperabile on-line sul blog del magazine a questo indirizzo (con tanto di hyperlink e belle foto).
Non è certo un resoconto approfondito dello "stato dell'arte", però dà abbastanza l'idea del perché siamo, una volta di più, un paese che potrebbe, ma non vuole ("Vede, signora, suo figlio è intelligente, ma non si applica...").
Di che parla l'articolo... di biblioteche, ovvio (non quelle che molte di voi hanno in mente...), ma anche di abitudini e forme mentali (che finiscono poi per spiegare molte cose).

Foto: Alessandria d'egitto, Biblioteca Nazionale (Snøhetta As, 2002).

PARATESTI. 03: Samurai Jack Opening Titles

Con la voce di Aku doppiato dal compianto Mako Iwamatsu (l'attore nippoamericano che ha interpretato il ruolo dello stregone amico di Conan nel film di Milius) inizia immancabilmente ogni episodio di Samurai Jack. Ecco qua il testo inglese (che i fan come me hanno imparato a recitare come un mantra):
"Long ago in a distant land, I, Aku, the shape-shifting Master of Darkness, unleashed an unspeakable evil... But a foolish samurai warrior wielding a magic sword stepped forth to oppose me. Before the final blow was struck, I tore open a portal in time and flung him into the future where my evil is law. Now the fool seeks to return to the past and undo the future that is Aku!"
Come ebbe a dire anche qualcun altro: "Esco scemo per le introduzioni così. Come si fa a non farsi accalappiare?"
In fondo, una delle carte vincenti di Genndy Tartakowsky e soci è proprio questa: l'epica elementare, quasi fiabesca (anche se sempre pervasa di humor e ironia) che percorre l'intera serie, costituendo anche un'importante cifra stilistica formale, oltre che tematica.

domenica, settembre 13, 2009

PYNCHON. 09: "Un viaggio nella mente di Watts"

Il 12 giugno 1966 (circa un anno dopo la famosa rivolta del quartiere nero di Watts di Los Angeles), sul New York Times Magazine, apparve questo articolo firmato dal Nostro. Come si legge su Spermatikos Logos, il sito dedicato a Pynchon su The Modern Word, si tratta di un "profilo psicologico del quartiere di Watts di L.A. e delle tensioni razziali che hanno dato origine alla famigerata rivolta".
Questa mia traduzione (per quanto ne so, si tratta di un inedito in Italia) la feci per mio personale diletto quando ancora la mia carriera di traduttore non era nemmeno iniziata. Spero di non aver fatto un cattivo servizio. E spero che il NYT- o chi per lui - non se la prenda... in caso sono ovviamente disposto a rimuovere il tutto.
Considerando quello che sta succedendo oggi nel mondo (e in particolare in Italia e nel resto del Mediterraneo), ritengo giusto dare un piccolo contributo a far circolare di nuovo questo scritto e magari a oliare i meccanismi di qualche minuscolo cervello arrugginito...

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Thomas Pynchon
Un viaggio nella mente di Watts

Los Angeles

La notte del 7 maggio, dopo un inseguimento iniziato a Watts e terminato una cinquantina di isolati più a nord, due poliziotti di Los Angeles, Caucasici, riuscivano a fermare un'auto alla cui guida c'era Leonard Deadwyler, Nero. Con lui si trovavano la moglie, incinta, e un amico. L'agente più giovane (che già una volta era stato denunciato per aver strapazzato in maniera più eccessiva del solito alcuni ragazzi Neri) si avvicinò e infilò testa e arma nel finestrino dell'auto per parlare a Deadwyler. Un istante dopo ci fu uno sparo; il giovane Nero cadde riverso sul sedile e morì. Stando all'altro agente, l'ultima cosa che disse fu "Sta per avere un bambino".

L'indagine del coroner andò avanti per quasi due settimane, con l'agente che sosteneva che l'auto aveva avuto un sussulto improvviso, provocando l'incidentale esplosione di un colpo dal suo revolver d'ordinanza; con la vedova di Deadwyler che sosteneva che si era trattato di omicidio a sangue freddo e che l'auto non si era mai mossa. L'esito, senza sorprendere nessuno, assolse l'agente da ogni responsabilità. Si era trattato di un incidente. La Pubblica Accusa subito dichiarò che quella era anche la sua opinione e che, per quanto la riguardava, il caso era chiuso.

Ma per quanto riguarda Watts, il caso è ancora decisamente aperto. I predicatori della comunità invitano alla calma - o, come la stanno mettendo altri: "Se scoppia qualche grosso casino, dolcezza, L'Uomo non farà che tornare qui a sparare, proprio come l'ultima volta". I cecchini sono appostati, per ora senza colpire granché. Ogni tanto una bomba incendiaria parabola contro auto con facce bianche all'interno, o contro modelli sportivi vuoti che dall'aspetto si potrebbero dire di proprietà bianca. Ci sono stati alcuni incendi di origine misteriosa. Un Centro Per Adolescenti di Colore - parte del tentativo tienili-lontani-dalle-strade nella guerra alla povertà di L.A. - si è ritrovato tutte le finestre in frantumi, mentre la giovane responsabile, il giorno dopo, esprimeva il desiderio di parlare ai malfattori, coinvolgerli, trovare magari il modo di risolvere il problema insieme. Naturalmente, nel ripostiglio mentale di ognuno, la stessa identica domanda: Si ripeterà la rivolta dello scorso anno?

Ma la vera domanda è: Perché tutti si preoccupano tanto di una nuova rivolta - non sono forse cambiate a Watts le cose dall'ultima volta? E' quanto si stanno chiedendo un sacco di Bianchi. La risposta, purtroppo, è no. Il quartiere starà anche ribollendo di assistenti sociali, di collettori di dati, volontari della VISTA e altri membri assortiti dell'establishment umanitario, tutta gente le cui intenzioni sono le migliori del mondo. Ma per qualche motivo non è cambiato granché. Ci sono ancora i poveri, i derelitti, i criminali, i disperati, tutti qui intorno a gironzolare con quella che deve sembrare come una terribile vitalità.

L'uccisione di Leonard Deadwyler ha ancora una volta posto tutto quanto al centro dell'obiettivo; ha fatto riaffiorare un'antica sofferenza; ha ricordato a ognuno di quanto spesso l'agente ti si avvicini con il revolver pronto, così che niente di quello che poi fa con esso può realmente considerarsi un incidente; di come, specie di notte, ogni cosa possa d'un tratto ridursi a una questione di riflessi: la tua vita in bilico sulla falange contratta di un poliziotto perché è buio, e perché Watts, la storia di questo posto e questi tempi rende impossibile a lui il farsi avanti in un altro modo e a te l'odiarlo meno. Entrambi costretti in qualcosa che nessuno dei due vorrebbe, eppure, notte dopo notte, con vittime o meno, queste recite tradizionali continuano a essere rappresentate in tutta la zona centro-meridionale della città.

In aggiunta a qualunque cosa possa esserci di sbagliato politicamente - come l'inadeguatezza delle strategie della Grande Depressione applicate a uno scenario che le ha da tempo superate; come il compiacimento vecchia maniera dei padri della città per le enormi quantità di derrate da guerra alla povertà che lo Zio Sam gli sta mettendo a disposizione - ciò che è invece molto più prossimo al cuore del malessere razziale di L.A. è la coesistenza di due culture molto diverse tra loro: una bianca e una nera.

Mentre la cultura bianca è impegnata in varie pratiche di assurdità sistematizzata - sulle quali si basa perfino l'economia della zona - la cultura nera è quasi completamente bloccata nel confronto con realtà primarie come malattia, fallimento, violenza e morte, tutte cose che i Bianchi, potendoselo permettere, hanno scelto per la maggior parte di ignorare. Le due culture non si comprendono, nonostante i valori dei bianchi siano incessantemente esposti sugli schermi televisivi dei Neri, e nonostante la sensazione panoramica dell'impoverimento nero sia ben difficile da non cogliere dall'alto della Harbor Freeway, che così tanti bianchi devono percorrere almeno due volte nel corso di ogni giornata lavorativa. Per qualche motivo sono molto pochi quelli a cui capita, tanto per cambiare, di uscire allo svincolo Imperial, di prendere a est invece che a ovest anche solo per pochi isolati, e dare un'occhiata a Watts. Un'occhiata veloce. La più semplice forma di inizio. Ma Watts è una terra che si estende, psicologicamente, innumerevoli miglia più lontano di quanto la maggior parte dei bianchi sembra oggi aver voglia di viaggiare.

E anche se in superficie il caso Deadwyler non ha apparentemente cambiato le cose, al di sotto di essa lo stato d'animo di Watts è più o meno quello che potreste aspettarvi. I sentimenti vanno da un istintivo, ostile e urgente bisogno di contrattaccare in qualche maniera a un'ansia preoccupata che l'uccisione sia soltanto un torto in più, un'ulteriore cambiale che, una calda sera quest'estate, scadrà. Eppure sotto la luminosità e la calura del giorno, è difficile pensare che vi sia a Watts un qualche mistero. Tutto sembra così esposto, così reale, niente facce di plastica, niente transistor, niente musichette di sottofondo o paesaggi Disneyficati o ragazzine sorridenti a farti da guida. Non a Inseguiribellolandia. Giusto un paio di monumenti storici, come il distaccamento di polizia, un posto di guardia per le forze bianche risalente all'Agosto scorso, con i piccioni tubanti che ora affollano le tegole rosse del suo tetto. Oppure, lungo le strade, lotti vacanti dagli orli ancora carbonizzati, ammiccanti di gusci di Tokay, Porto e sherry, le bottiglie non fracassate che fanno capolino da sacchetti di carta.

Un bambino potrebbe andarsene in giro scalzo e calpestare questi vetri - non che voi lo verreste mai a sapere. I bambini da queste parti sono già dei duri, al punto che potreste sfilargli le schegge di dosso senza mai sentire un singhiozzo. Fa parte del loro paesaggio, di quello reale come di quello emotivo: vetri rotti, vasi fracassati, chiodi, bidoni di latta, ogni genere di resti e spazzatura. Come nella tradizione di Watts. Simon Rodia, un immigrato italiano, impiegò trent'anni a radunare parte di questa spazzatura e a trasformare un piccolo appezzamento del quartiere lungo la 107sima strada nelle ormai celebri Torri di Watts, forse il suo personale sogno di come le cose sarebbero dovute essere: una fantasia di fontane, imbarcazioni, alte strutture a spirale incastonate con un luccicante mosaico di frammenti di Watts. Accanto alle Torri, lungo la vecchia linea della Pacific Electrics, i bambini sono impegnati ogni giorno a fracassare nuove bottiglie sui binari del tram. Ma Simon Rodia è morto, e ora la spazzatura si accumula e basta.

Pochi isolati più in là altri bambini sono fuori a giocare sull'asfalto rovente del cortile della scuola. Fratelli e sorelle ancora troppo piccoli per la scuola se la passano meglio - ovunque si trovino hanno prati, alberi, tubi, posti per nascondersi. Non l'affollato, assolato coacervo di appartamenti di una Harlem; ma lo stesso sprawl urbano di edifici a uno o due piani dell'intera L.A., che vi dà almeno un pezzetto di prato in cui allargarvi quando proprio non ve la sentite di starvene dentro.

Nella zona commerciale del sobborgo c'è un'idea diversa di rifugio. Bar e sale da biliardo, dai locali caldi e scuri, sono pieni di gente; molte le partite in corso, di domino, dadi o whilst. Fuori, gli uomini se ne stanno intorno alla ghiacciaia ad ascoltare una partita di baseball alla radio; altri, in piedi o accovacciati, si appoggiano agli edifici - basse scatole dall'intonaco stinto che ricordano in modo curioso certe vie in Messico. Le donne passano, all'andata e al ritorno, da qualunque tipo di shopping possa esserci da fare. E' facile notare quanto rapidamente, dopotutto, in queste strade possa formarsi una folla intorno al minimo germe di disordine o incidente. Per il momento è tutto in attesa sotto il sole.

Sopra di tanto in tanto, passano grossi jet come giganteschi aspirapolvere in fase d'atterraggio, il vento spira da ovest e Watts si distende proprio sotto le rotte d'avvicinamento dell'aeroporto internazionale di L.A.. I jet sembrano sospesi nell'aria ad appena una cinquantina di metri da terra; attraverso lo smog appaiono più bianchi che argentati, illuminati dal sole, per nulla solidi; soltanto spettri, o possibilità, di aeroplani.

Da qui, gran parte della cultura bianca che circonda Watts - e, in modo curioso, la assedia - appare proprio come quegli aerei: un po' irreali, quasi privi di sostanza. Perché Los Angeles, più di ogni altra città, appartiene ai mass media. Ciò che, in tutta la nazione, è conosciuta come la Scena di L.A. esiste principalmente sotto forma di immagini su uno schermo cinematografico o televisivo, sotto forma di foto su riviste in quadricromia, vecchie storielle radiofoniche, nuove canzoni che sopravvivono giusto qualche settimana. Fondamentalmente si tratta di una Scena bianca, dove l'illusione permea ogni cosa, dalle gigantesche compagnie aerospaziali che fioriscono e appassiscono secondo i capricci di Robert MacNamara, al "movimento" che tutti cercano su e giù per la Strip durante i week-end, inconsapevoli di essere essi stessi, con la loro il più delle volte incompiuta ricerca, l'unico movimento in città.

Watts giace incastonata nel cuore di questa fantasia bianca. E', per contrasto, una sacca di più amara realtà. L'unica illusione che Watts si sia mai concessa è stata quella di credere a lungo nella versione bianca di ciò che un Nero sarebbe dovuto essere. Ma con l'avvento dell'Islamismo e dei movimenti per i diritti civili è svanita anche quella.

Dai tumulti dell'Agosto scorso non c'è stato un gran ricostruire da queste parti, pochi gli investimenti. Lotti i cui edifici allora erano andati distrutti dalle fiamme stanno ancora aspettando invenduti e ricoperti di detriti, occupati soltanto da una o due auto parcheggiate, ragazzini in giro dopo la scuola, barboni che si spartiscono un sorso di prima mattina. L'altro giorno, in uno di essi, sono state celebrate pionieristiche festività, alla presenza di un ispettore della Contea, un sacco di belle liceali tutte infiocchettate, un proprietario bianco e sua moglie che, fedele allo spirito di Watts, ha schiantato una bottiglia di champagne contro una pietra - tutto perché l'uomo aveva deciso di restare e ricostruire il suo supermercato da 200.000 dollari, prima vera importante ricostruzione dai tumulti.

Gli stessi abitanti di Watts parlano di un diverso tipo di aura, vagamente malvagia; si lamentano che i Neri che vivono in quartieri migliori amano giungere qua da sotto l'autostrada come in un quartiere a luci rosse, cercando ragazze, gioco d'azzardo o magari un contatto. Si dice che la droga sia una merce rara oggi a Watts e nonostante ciò il Narco-popolo attraversa tentativamente l'intera zona, alla ricerca di drogati, gruppi di tossici, spacciatori. Ma la povertà di Watts è tale da rendere più probabile il fatto che, avendo un po' da bere o qualcos'altro in più, tu preferisca darlo a un amico, piuttosto che venderlo. Domani, o quando potrà, il tuo amico ti restituirà il favore.

Durante l'inchiesta Deadwyler molto fu l'accento posto sull'elevato tasso alcolico nel sangue del morto, come se il fatto che fosse ubriaco desse in qualche modo alla polizia il diritto di sparargli. Ma l'alcool è naturale parte integrante dello stile di Watts; naturale quanto lo è LSD dalle parti di Hollywood. Il ragazzo bianco ama le allucinazioni semplicemente perché è talmente condizionato a credere nell'evasione, evasione come parte integrante della vita, perché la Scena bianca di L.A. gliene mette a disposizione un'incredibile quantità di varianti. Ma un ragazzo di Watts, cresciuto in una sacca di realtà, non cerca tanto l'evasione quanto un po' di calma, un po' di rilassamento. E per quello birra o vino sono sufficienti. Specialmente alla fine di una brutta giornata.

Come dopo aver guidato, diciamo, giù fino a Torrance o Long Beach o dovunque siano quelli che fanno assunzioni perché non sono certo a Watts, neppure nelle miglia di industria pesante sparse lungo Alameda Street, quella grigia arteria assassina che si distende al confine orientale di Watts simile all'orlo del mondo.

Così ti infili invece nell'autostrada, domandandoti magari quanto ci vorrà prima che un poliziotto ti fermi perché il rottame che stai guidando, comprato per 20 o 30 $ messi insieme in qualche maniera, fa un sacco di rumore e brucia un po' d'olio. Beccarti motorizzato allarga gli orizzonti dell'Uomo; gli dà più motivi per darti addosso. E "l'eccesso di fumi di scarico" è uno dei suoi preferiti.

Se arrivi dove stavi andando senza incontrare un agente, puoi trascorrere la tua giornata guardando le facce bianche degli addetti al personale, le loro uniformi occhiate di sospetto, i loro automatici sorrisi, e stare ad ascoltare i loro gentili rifiuti. "Una volta che mi avevano detto che non corrispondevo alle loro esigenze" dice un ragazzo, "mi sono deciso a chiedere. Così ho detto Bene, allora, cosa state cercando? Voglio dire, come mi posso preparare, che cosa devo imparare per corrispondere alle vostre esigenze? Sapete che mi ha detto? Non siamo tenuti a dirti quali sono le nostre esigenze".

Non lo è. Il punto è proprio questo: non deve fare nulla che non voglia perché lui è L'Uomo. O lo era. Un sacco di ragazzi oggi sono più propensi a chiamarlo il piccolo uomo - intendendo con ciò non tanto un qualsiasi membro della struttura di potere quanto il vostro bianco medio, che paga le tasse, è iscritto al voto, è possidente; ha un lavoro, è affidabile, ha un'ipoteca e tutto il resto.

Il piccolo uomo rode a questi ragazzi più di quanto l'Uomo abbia mai fatto ai loro genitori. E' il piccolo uomo a pestargli piedi e mettersi sulla loro strada; è ovunque e non c'è molto che possono fare per cambiare lui o i suoi sentimenti nei loro confronti. Un ragazzo di Watts conosce il funzionamento della testa dei bianchi se è possibile meglio dei bianchi stessi; sa bene quanto spesso il piccolo uomo dopo averlo squadrato ha pensato "Brutto rischio di credito" o "Cattivo studente" o "Minaccia sessuale" o "Approfittatore del Welfare" - senza conoscere di lui personalmente assolutamente nulla.

L'impulso naturale, normale è quello di voler colpire il piccolo uomo. Ma cosa ha poi fatto, dopo tutto? Composto, rispettabile, persino sorridente, non ti ha insultato, ne ha estratto armi. Ti ha soltanto detto, forse, che il lavoro era già stato assegnato, la casa affittata.

Con un poliziotto può diventare più pericoloso, ma almeno è onesto. Vi capite. Tacitamente, entrambi ammettete che tutto ciò che il poliziotto ha dalla sua parte è la sua pistola. "C'era un tempo," vi diranno " che avresti detto Togliti il distintivo, bello, e sistemiamo la faccenda. Voglio dire, lui non se lo sarebbe tolto, ma tu l'avresti detto. Ma da agosto, amico, ecco come la vedo, al diavolo il distintivo - basta che metti via la pistola".

Il poliziotto non mette via la pistola; la disputa resta verbale. Ma questo significa che, oltre a proteggere e a servire il piccolo uomo, il poliziotto funziona anche come sua immagine.

Se si lascia prendere dall'emozione e dice qualcosa come "ragazzo" o "negro" allora hai la possibilità di scegliere: lasciar perdere oppure - e, una volta di più, questo è più probabile dopo l'agosto scorso - insultarlo nel modo in cui si aspetta, benché è sottinteso che tu non stai in nessun caso commentando alla lettera cosa avviene tra lui e sua madre. E' uno scambio rituale, come la sporca dozzina.

Di solito - come nell'incidente Deadwyler - è il poliziotto più giovane tra i due a creare più problemi. La maggior parte dei ragazzi di Watts conoscono a menadito come funziona la testa di questo novellino - le cose che sente di dover dimostrare - come anche tutti i passi del rituale. Prima che il poliziotto possa dire "Vediamo i tuoi documenti", impari a tirarli fuori educatamente dicendo "Vuoi vedere i miei documenti?". Naturalmente, quanto più riuscirai ad anticipare le sue mosse, tanto più quel poliziotto si roderà il fegato. E' come scherzare col fuoco, ma d'altra parte quello armato è lui, così tu fai quello che puoi.

Devi sempre intuire in anticipo come si metterà il discorso. E' qualcosa che impari a fare abbastanza in fretta da piccolo, così come impari presto a distinguere le differenti specie di poliziotti: i BiancoNeri (chiamati così per il colore delle loro auto), la polizia urbana di L.A. e in generale i meno flessibili; il dipartimento dello sceriffo della Contea di L.A., che si considerano una specie di élite, cercano di mantenere una certa distanza dal pubblico e sono meno propensi a infastidirti a meno che non sembri valerne la pena; la polizia urbana di Compton, che si muovono in pattuglia da soli e si presentano come dei veri duri, allineandovi quattro alla volta contro il muro per poi perquisirvi; quelli della Minorile che guidano delle Plymouth prive di segni di riconoscimento e, appena tramonta il sole, se ne vanno in giro dappertutto fermandosi accanto a voi con genialezze del tipo "Chi compra da bere stasera?" o "Chi pensate di derubare stanotte?". Scherzano, naturalmente, cercano di fare gli amiconi. Ma ai ragazzi di Watts, come a quasi tutti, non piace essere messi insieme agli ubriaconi, o ai pirati della strada o ai ladri, o in qualsiasi gruppo considerato criminale o malvagio Qualunque siano i motivi del poliziotto, appare come una deliberata e colpevole forma di stupidità.

Durante le ore di luce, in particolare con una folla di qualche tipo, lo stile di superficie del poliziotto è un po' cambiato dall'agosto scorso. "C'era un tempo" sentirai "in cui l'Uomo si precipitava dritto in mezzo, molto duro, sceglieva nella folla il ragazzo che gli pareva la causa dei casini e cercava di arrestarlo davanti a tutti. Ma ora che la gente comincia a rispondere urlando che ne hanno avuto abbastanza, ecco che all'improvviso l'Uomo abbassa la cresta".

Tuttavia, benché più di un poliziotto sembri seguire l'ordine del giorno che gli viene letto ogni mattina di essere cortese con tutti, il suo comportamento con una folla dipenderà realmente così come com'è sempre stato dal numero dei suoi su cui può fare affidamento, e sulla loro rapidità. Anche perché il suo Capo, Sam Yorty, è un convinto sostenitore delle virtù della Supremazia Schiacciante come soluzione alle problematiche razziali. Questo approccio non ha riscosso molto favore a Watts. E in effetti il Capo della Polizia di Los Angeles appare agli occhi di molti Neri come la vera e propria incarnazione del piccolo uomo: incurante di tutti all'infuori di sé stesso, sempre pronto per opportunismo a parlare in pubblico, qualcuno di cui mai, ma proprio mai, dovrai fidarti.

L'Agenzia per le Opportunità Economiche e la Gioventù (A.O.E.G.) è una "agenzia-ombrello" che unisce città e contea (anche lo stato era rappresentato, ma si è chiamato fuori) per numerosi progetti dispersi nelle zone più povere di L.A., e sembra essere l'ambiente naturale di Sam Yorty, se non addirittura il fiore della sua consapevolezza. Bizzarra, confusa, sempre in movimento, singolarmente inefficace, la A.O.E.G. non vede passare giorno senza che qualcuno rassegni le proprie dimissioni, o venga licenziato, faccia un'accusa o venga a sua volta chiamato a rispondere - e tutto questo non fa che confermare la già misera opinione che i Neri di Watts hanno del piccolo uomo. L'atteggiamento Nero nei confronti della A.O.E.G. è di aperta sfiducia, sono le gradazioni di sospetto a variare, dalla casalinga che vuole solo essere lasciata tranquilla in pace, sperando che magari questa volta L'Uomo menta un po' meno del solito, al giovane attivista discepolo di Malcom X, che liquida l'intera faccenda con un'unica, sdegnata, scrollata di spalle.

"Ma perché?" ha chiesto una volontaria bianca. "Ci sono così tante agenzie ora a cui rivolgersi, che possono aiutarti, se solo presenti la tua denuncia."

"Non ti aiutano per niente." Questo ragazzo in particolare era stato umiliato per aver cercato di ottenere un lavoro con uno dei più importanti studi d'avvocatura.

"Forse una volta. Ma adesso è diverso."

"Adesso" ha sospirato il ragazzo "adesso. Vedi, la gente ha continuato ad ascoltare per un sacco di tempo questo 'adesso' e io mi sono proprio rotto de L'Uomo che ti ripete: "Adesso è tutto OK, adesso intendiamo realmente quello che diciamo."

Evidentemente, a Watts, dove nessuno può permettersi il lusso dell'illusione, c'è ben poco motivo per credere che oggi le cose andranno diversamente, meglio dell'ultima volta.

Forse la misura dell'indifferenza della gente la da il fatto che solo il 2 per cento dei poveri a Los Angeles si sono fatti vivi per eleggere i rappresentanti della "commissione povertà" della A.O.E.G.. Vista la minoranza schiacciante in commissione (7 su 23), nessuno ha trovato un buon motivo per andare a votare.

Nel frattempo gli avamposti dell'istituzione sonnecchiano nella luminescenza dello smog estivo: segretarie trascorrono il pomeriggio a chiacchierare malinconicamente di macchinari che non accetteranno le schede preparate apposta per loro; volontari bianchi seduti a compilare, a scarabocchiare, a parlare al telefono, a far finta di lavorare a ogni costo, a immaginare dove siano finiti i "clienti"; slogan d'ispirazione tipo SORRIDI decorano i pannelli lignei alle pareti insieme ai diagrammi di flusso che illustrano la corretta disposizione dei casi e a ritagli di articoli da riviste patinate dedicati a "Cos'è la Maturità Emotiva?".

Cose come sorridere e Maturità Emotiva hanno un gran successo tra i professionisti della middle-class, ben sistemati, neri e bianchi, azionano i mimeografi e i computer della guerra dei poveri da queste parti. Tristemente, essi sembrano sorridersi fuori da ogni comunicazione significativa con i propri poveri. Oltre a un'ottocentesca convinzione nel fatto che metodi sicuri e comprovati - consigli sensati, buone intenzioni e persino un po' di pietismo - riusciranno a mettere a posto le cose a Watts, essi sono appesantiti dalle opinioni personali che li accompagnano al lavoro. I loro riflessi - in particolare quelli che riguardano la conformità, il fallimento, la violenza - sono prevedibili.

"Abbiamo passato momenti da incubo con questa ragazza" racconta un consulente del Progetto per l'Educazione e l'Occupazione Giovanile. "Avreste dovuto vedere la sua acconciatura, tutta raccolta in verticale fin quassù. E gli abiti assurdi con cui si presentava, roba da non credere. Abbiamo dovuto prenderla da parte e spiegarle che ai datori di lavoro quel genere di cose semplicemente non vanno a genio. Che avrebbe dovuto vedersela con un sacco di ragazze dall'aspetto curatissimo, calze e tacchi, capelli e vestiti tradizionali. Alla fine siamo riusciti a farla ragionare".

Lo stesso vale per i ragazzi che sfoggiano berretti alla Malcolm o capelli Afro. L'idea che i consulenti apertamente sostengono è di dover somigliare il più possibile a un candidato bianco. Cioè a un Nero che faccia il consulente del lavoro o l'assistente sociale. La cosa non ha riscosso un grande entusiasmo da parte dei giovani che dovrebbe aiutare ed è uno dei motivi per cui i lavori vanno così a rilento nei vari progetti.

Tra i soldati della povertà un imbarazzo simile esiste nei confronti del fallimento. Essi si trovano, insieme con la stragrande maggioranza dei losangelini bianchi, in una sacca socio-economica che sembra essere terrorizzata più dal fallimento che dalla morte. E' difficile immaginarsi in quale occasione qualcuno di loro possa aver mai sperimentato una sconfitta o una perdita significative. Se l'hanno fatto, hanno da tempo accantonato la cosa razionalizzandola come qualcos'altro.

Sentirai da loro perle di saggezza del tipo: "La vita trova sempre il modo di sorprenderci, semplicemente in funzione del tempo. Anche se tutto ciò che fai è startene ad aspettare a un angolo di strada". Watts è pieno di angoli di strada dove la gente se ne sta ad aspettare, come è successo per alcuni, anche per 20 o 30 anni senza che la Sorpresa n° 1 si sia mai presentata. Eppure i soldati della povertà devono aver fede in questa forma di semimiracolo, poiché il loro mondo e la loro scena non può accettare la possibilità che, alla fine, possa non esserci alcuna sorpresa. Ma è qualcosa che Watts ha sempre saputo.

Riguardo alla violenza, in una sacca si realtà come Watts, la violenza non ti è mai troppo lontana: perché sei un uomo, perché sei stato umiliato, perché per ogni azione c'è sempre una reazione uguale e contraria. In un modo o nell'altro, prima o poi. Eppure per questi innocenti, ottimisti piccoli-burocrati, la violenza è una cosa cattiva e dannosa, forse perché minaccia la proprietà e lo status che non possono fare a meno di coccolare.

Ricordano la rivolta dell'Agosto scorso come uno sfogo, uno scatto improvviso. Eppure, dal punto di vista realistico di Watts, cosa c'è stato di così anormale? "L'Uomo aveva messo il suo piede sul tuo collo ", ha raccontato uno che c'era, "prima o poi smetterai di chiedergli di toglierlo". La violenza che è stata necessaria per far sì che quel piede si sollevasse quel poco che si è sollevato non è stata una sorpresa. In molti l'avevano predetta. Una volta iniziata, il suo scopo primario - battere la polizia BiancoNera - sembrava ragionevole ed è stato raggiunto nell'istante in cui L'Uomo è stato costretto a inviare rinforzi. Tutti sembrano esserne stati consapevoli. Difficilmente a Watts c'è una persona che trovi doloroso parlarne o si rammarichi di quanto è successo - a meno che non abbia perso qualcuno.

Ma nella cultura bianca tutt'intorno, in quello spaventoso mondo di guidatori di Mustang pre-infartati che si urlano insulti l'un l'altro solo quando i finestrini sono chiusi; di grandi corporazioni in cui Lo-standard-gentile-e-pulito è la prima scelta indipendentemente dalla schiena di quale dirigente uno possa nel frattempo star cercando di pugnalare; di un'immensa casta sacerdotale di codardi che consigliano il compromesso e la moderazione come l'unica risposta a tutte le forme di provocazione; nel mezzo di tanta beneducata irrealtà, è pressoché impossibile capire quale sia la reale opinione di Watts sulla violenza. In termini rigorosamente realisti la violenza può essere per esempio un mezzo per procurarsi soldi non più disonesto dell'esigere tassi di credito esorbitanti da clienti in cassa integrazione, come qui continuano ancora a fare i commercianti bianchi. Lungi dall'essere una malattia, la violenza può essere un tentativo di comunicare o di essere realmente te stesso.

"Sì, ho fatto due periodi dentro" dice un ragazzo" tutte e due le volte per rissa, ma in entrambi i casi non me lo meritavo. La prima volta l'altro tizio era più grosso di me; la volta dopo si trattava di due contro uno, e l'uno ero io". Ma è stato arrestato ugualmente, forse perché Bianchetto, che sa come ottenere tutto ciò che vuole, non sa più usare le mani e non vede perché tutti quanti non dovrebbero percorrere la strada delle Buone maniere. E se state pensando che forse qui abbiamo a che fare anche con una fissazione sulla virilità, che mettere un Nero in un istituto correzionale per rissa è anche una maniera di sterilizzarlo in qualche modo, beh, forse potreste non aver torto, chi può saperlo ?

Dopo tutto è nell'interesse della L. A. bianca far sbollire Watts con ogni mezzo disponibile - porre l'intera zona sotto un assedio di persuasione; convincere il Nero povero ad assumere certi valori bianchi. Dà loro una piccola proprietà e saranno meno tolleranti verso gli incendi dolosi; lascia che si indebitino per un'auto o una TV a colori, e saranno più propensi a tenersi stretto un lavoro stabile. Alcuni vedono la cosa per quello che è - un invito, un falso benvenuto, un tentativo di caricaturare la realtà di Watts nell'irrealtà di Los Angeles. Altri no.

Watts è coriacea; è stata capace di resistere all'irreale. Se c'è stato qualche scivolone fuori dalla realtà è avvenuto nella direzione della mitopoiesi. Mentre l'estate si scalda, la rivolta dell'Agosto scorso viene sempre meno ricordata come caos e sempre più come arte. Alcuni ora parlano di una sua qualità coreografica, un coordinato e aggraziato balletto di allontanamento dei poliziotti dal centro dell'azione, una dispersione del potere del L'Uomo, sia con scontri reali che con falsi allarmi.

Altri lo ricordano in termini di musica; gran parte della rivolta sembrava attraversata, dicono, da una straordinaria empatia, o qualunque cosa sia quella che provano certe notti i jazzisti; tutti che sanno cosa fare e quando farlo, senza bisogno di una parola o di un segnale; "Potevi unirti a chiunque, i ragazzi potevano essere impegnati a incendiare un negozio o che so io, ma te lo dicevano, spiegandoti con calma cosa stavano facendo in quel momento, cosa avrebbero fatto dopo. Ed era quello che facevano; amico, nessuno doveva dare ordini."

La rivisitazione della rivolta procede anche in altri modi. Per tutta la settimana di Pasqua quest'anno, nello spirito della stagione, si è svolta una "Resurrezione delle Arti", una specie di festival in memoria di Simon Rodia, allestito al Liceo Markham, nel cuore di Watts.

Insieme agli spettacoli teatrali e ai concerti, il festival comprendeva anche una stanza piena di sculture realizzate interamente con oggetti raccolti - raccolti, abbastanza simbolicamente, e nel solco della tradizione di Simon Rodia, tra i rottami lasciati dalla rivolta. Impiegando trame di legno carbonizzato, torcigli di metallo, vetro fuso, molte delle opere erano delle squisite, autentiche rinascite.

In un angolo c'era questo vecchio televisore fracassato, cavo, con sopra la sua antenna a orecchie di coniglio; all'interno, dove sarebbe dovuto esserci il tubo catodico, a guardar fuori con filamenti bruciati avviticchiati a mo' di edera elettrica tra le narici e i bulbi oculari, c'era un teschio umano. L'opera era intitolata "L'ultimo, ultimo, ultimo spettacolo".
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Prendetevi una mezz'ora e leggetevelo... Big P. aveva già capito tutto, una volta di più.

mercoledì, agosto 26, 2009

PYNCHON. 08: Inherent vice

E' uscito il nuovo romanzo, un noir psichedelico ambientato al crepuscolo del sogno alternativo degli anni '70. Ed è già disponibile il rispettivo wiki.
Sulla Sunday Book Review del New York Times, Walter Kirn ha scritto una bella recensione dal titolo "Drugs to do, caseso to solve" (ovvero, così al volo, "Droghe da farsi, casi da risolvere"). Vale la pena leggersela, non è nemmeno tanto lunga, ma in poche frasi mi pare riesca a delineare bene, e con straordinaria chiarezza, il cuore pulsante del romanzo (che non ho ancora letto) e di gran parte della narrativa pynchoniana...
Un paio di passi che mi hanno particolarmente colpito:

If Doc [Sportello, l'investigatore hippy fumato protagonista del romanzo] sounds like a literary joke — the Private Eye with drooping lids who can’t trust the evidence of his own senses — then he must be a joke with a lesson to impart, since Pynchon isn’t the type to make us laugh unless he’s really out to make us think. Even in “V.” and “Gravity’s Rainbow,” the colossal novels of ideas that have inspired a thousand dissertations as unreadable as the books are said to be but actually aren’t, he grounds his intellectualism in humor and livens it up with allusions to pop culture while sacrificing none of its deep rigor. He’s our literature’s best metaphysical comedian. The weighty points his work makes about the universe — that it’s slowly winding down as the Big Bang becomes the Final Sigh — tend to relieve our despair, not deepen it, by letting us in on the cosmos’s greatest gags: for example, that the purpose of the Creation was to make itself perfectly unmanageable and purely unintelligible. No wonder so many of Pynchon’s characters revel in chemical dissipation. Entropy — if you can’t beat it, join it.

[...]

In Pynchon, the problem of distinguishing between coincidences and conspiracies, between the prosaic and the profound, is one of the defining tasks of consciousness. For some, like Doc, whose cerebral equipment is particularly unreliable, this perennial mental challenge can prove insuperable, but that may be why Pynchon chose him for the job. His confusion is all of ours exaggerated, his paranoia a version of normal pattern­making amped way up by his intake of hallucinogens. That doesn’t mean he’s blind, though, or delusional. Hyper-awareness makes sense at times, especially when, as in 1970 (the year in which the book is set), the times are changing more rapidly than usual and were radically out of joint to start with.

[e, conclude, ma il lettore che voglia tirar da solo le proprie conclusioni non proceda oltre...]

The grand conclusion of Doc’s nonlinear sleuthing, the revelation he stumbles on despite himself, is that he and his freedom-loving kinfolk (the private eye and the hippie, we finally see, are related as outcast seekers of the truth) have been boxed in by the squares, their natural foes, and will henceforth be monitored with their own consent, to assure their own ostensible safety. The oppressors’ specific methods and identities continue to mystify Doc to some degree (they include the Internet, it seems, which appears in the novel in a nascent version, as the plaything of a techno-hobbyist), but he divines their overarching goal: to close the frontiers of consciousness forever by rendering life in the shadows impossible and opening the soul itself to view, or at least criminalizing its excursions into deeply subjective, hidden realms. The age of the private eyes is over, that is, and with it the age of privacy itself. And what’s left? The sleepless, all-seeing, unblinking public eye.

Spero vivamente che i fratelli Cohen leggano questo libro...

sabato, agosto 22, 2009

PYNCHON. 07: Pynchon e i fumetti

Non Pynchon "a" fumetti, badate bene (per quanto per un po' mi era frullata in testa una certa idea...). In un recente articolo di Sean Rogers per i Walrus blogs, intitolato appunto "Pynchon and comics", la materia viene affrontata con adeguate sagacia e competenza. Saltano fuori diverse cose interessanti (tra cui un link a questo articolo di H. Brenton Stevens, sulla mitologia dei comics in Gravity's Rainbow) e salta fuori anche che - shame on me per non aver riconoscuto la citazione all'epoca (ma forse ancora non l'avevo letto...) - il barbuto stregone di Northampton aveva citato V. del caro Mr. P nel suo V for Vendetta.
Sempre nel medesimo articolo, a suffragio della Moore-Pynchon connection, si chiamava la testimonianza diretta di Eddie Campbell (disegnatore e collaboratore di Moore in From Hell), che nel suo How to be an artist ritrae un animato dibattito tra i due (che qui riproponiamo sperando nell'impunità... low quality, sorry, ma si legge abbastanza bene).

mercoledì, agosto 19, 2009

PYNCHON. 06: "Contro il giorno" - diario di lettura 2

























Altro passo dello stesso tenore "anarchico". Parla il reverendo bombarolo Moss Gatlin alla sua congrega di fedeli, riuniti nel retro di una bisca (pagg. 97-98, trad. di Massimo Bocchiola):

«Avete sentito la massima per cui non esiste una borghesia innocente. Uno di quegli anarchici francesi, alcuni l'attribuiscono a Emile Henry mentre andava alla ghigliottina, altri a Vaillant quando fu processato per la bomba alla Camera dei Deputati. Era la risposta alla domanda: come può un uomo mettere una bomba che costerà delle vite innocenti?»
«Miccia lunga?» propose qualcuno, solerte.
«Più facile col temporizzatore!»
«Pensateci...» quando i commenti furono più sommessi. «È come il Peccato Originale, però con eccezioni. Essere nati dentro di esso non rende automaticamente innocenti. Però quando arrivi a un punto della vita in cui capisci chi sta inculando chi - perdonami, Signore - chi lo pi­glia e chi no, allora sì che hai l'obbligo di scegliere quanto ce la fai a man­dare più. Se non dedichi ogni respiro di ogni giorno da sveglio o addor­mentato a distruggere quelli che trucidano gli innocenti con la stessa faci­lità con cui firmano un assegno, allora quanto ti senti di chiamarti innocente? È una cosa che va negoziata con il giorno, partendo da quei termini assoluti.»


Parliamo dell'America dell'esposizione mondiale di Chicago del 1893... no, lo dico per i gentiluomini di Echelon in ascolto, che poi magari quelli della nostra Digos iniziano a interessarsi delle mie letture e salta fuori pubblicamente che da bambino comperavo "Il giornalino" (per l'Agente Allen di Sclavi), e "Più" (per i giochini omaggio).

venerdì, agosto 14, 2009

TRIVIA. 02: Uomini che bruciano nel deserto.


Da quando, ormai qualche tempo fa, vidi un documentario che parlava della cosa su canal Jimmy, immancabilmente, di questi periodi il mio pensiero va all'uomo di legno che brucerà nel deserto a Black Rock, un altipiano del deserto del Nevada dove ogni anno, per otto giorni, sorge la città di Black Rock City, in un evento/esperienza radicale che si ripete ormai da più di trent'anni.
Chissà, forse qualcuno che conosco ci andrà e mi saprà raccontare...
Il documentario che aveva trasmesso canal Jimmy (sottotitolato in italiano) era "Beyond Black Rock". Su You Tube si può vedere integralmente (diviso in dodici parti, non sottotitolate). Potete iniziare la visione da qui:

Tre link:
- La pagina dedicata all'evento sulla Wikipedia inglese
- La pagina ufficiale dell'evento (sito ricchissimo di materiali di ogni genere e che contiene una cronologia di tutte le edizioni)
- Il breve saggio/narrazione di Molly Steenson "What is Burning Man" (sempre dal sito ufficiale)

The Man burns in xxx days!

giovedì, agosto 13, 2009

PYNCHON. 05: "Contro il giorno" - diario di lettura 1

Magari dopo un po' mi stufo, ma vale la pena tentare. Nel corso della mia lettura proverò a postare brani, link, riflessioni, facezie...

Ecco qua la prima citazione, da pag. 42 dell'edizione italiana Rizzoli (trad. di Massimo Bocchiola):

La conversazione si era spostata sull'eccesso di ricchezze. «Conosco uno, nel New Jersey» disse Scarsdale Vibe, «che colleziona ferrovie. Non soltanto i veicoli, sapete, ma anche le stazioni, le pensiline, gli scali, il per­sonale, tutto l'armamentario.»
«Un balocco dispendioso» si stupì il professore. «Davvero esistono persone simili?»
«Da queste parti bisogna farsi un'idea di cosa possono essere i soldi inutilizzati. Non si può spenderli tutti in donazioni alla chiesa preferita, o in ville e panfili e piste per le corse dei cani lastricate d'oro o quello che le viene in mente. Non è possibile. No: a un certo punto tutto questo finisce, bisogna lasciarselo alle spalle... eppure resta un'immensa montagna di ric­chezza non spesa che si accumula ogni giorno, sempre più alta e, per ca­rità, un uomo d'affari che cosa dovrebbe farne? Voi capite...»
«Perbacco, allora lo mandi da me» interloquì Ray Ipsow. «O magari da qualcun altro veramente bisognoso, perché certo di quelli c'è abbon­danza.»
«Non è così che va» disse Scarsdale Vibe.
«Così sentiamo sempre i plutocrati lamentarsi.»
«Nella convinzione, indubbiamente comprensibile, che aver semplice­mente bisogno di una somma non significhi meritarsela.»
«Se non che, in questi tempi il "bisogno" nasce direttamente dagli atti criminali dei ricchi, ergo "si merita" qualsiasi quantità di denaro varrà alla sua espiazione. Questo è comprensibile per lei?»
«Lei è un socialista, signore.»
«Come devono esserlo tutti quelli che la ricchezza non isoli dalle cure quotidiane, signore.»
Foley smise di tagliuzzare e guardò con un improvviso, piccato inte­resse.
«Ora, Ray...» lo ammonì il professore, «siamo qui per parlare di elet­tromagnetismo, non di politica.»
Vibe ridacchiò, suadente. «Il professore teme di mettermi in fuga con questi discorsi da estremista. Ma io non sono un'anima così sensibile: sono sotto la guida, come sempre, della Seconda ai Corinti.» Diede una cauta occhiata attorno al tavolo, stimando il grado di conoscenza delle Scritture.
«Sopportare gli stolti è inevitabile» disse Ray Ipsow, «ma non mi si chieda di esserne "contento".»


In questi tempi di plutocrati istituzionali (e da ritenere invece quantomeno passibili di un'istituzionalizzazione di ben altro genere...) il brano è emerso dalla pagina come scolpito a bassorilievo... Ray Ipsow mi è già simpatico... vederemo come si comporterà nelle mille e cento pagine rimanenti.

MY FAVOURITE THINGS. 02: Making of a samurai

Samurai Jack, visionaria e innovativa serie animata televisiva creata da Genndy Tartakowsky è una mia fissa da qualche anno ormai. In attesa del lungometraggio animato promesso dalla Federator Film che dovrebbe degnamente concluderne le vicende interrottesi bruscamente "in medias res" con la quarta serie, mi consolerò postando qui ogni tanto materiali piluccati dalla Rete...
Cominciamo col "Making of...", un breve documentario in inglese incluso nel cofanetto DVD della prima stagione (di quattro, nessuna mai uscita in Italia... tsk), e ora disponibile sull'irrinunciabile Tube:

venerdì, agosto 07, 2009

PARATESTI. 02: Routine mattutina di un assassino gentiluomo.

Una delle più belle sequenze introduttive mai realizzata per una serie.



La serie è ovviamente Dexter. Qui trovate una bella analisi dell'intera scena ad opera del critico Jim Emerson.

giovedì, agosto 06, 2009

PYNCHON. 04: Troppa grazia!

Mentre mi accingo a iniziare il monumentale "Contro il giorno" (già dopo appena poche pagine ho incontrato con sommo solluchero un cane che legge...), in rete pesco notizie sul nuovo e in imminente uscita "Inherent vice", un 'noir' psichedelico ambientato nella Los Angeles degli anni '60.
Più vicino a "Vineland" e decisamente meno corposo del solito (all'incirca 400 pagine, invece delle solite mille e passa...), pare che il romanzo sia già fatto girare in giro per venderne i diritti cinematografici (magari i Cohen de "Il grande Lebowski"?). Secondo me sarà uno spasso...
Qua sotto un paio di succosi materiali tratti da ThomasPynchon.com :

Un suggestivo filmato narrativo con voce del protagonista, l'investigatore privato Doc Sportello (cui, pare, presta le corde vocali lo stesso mr. P.), postato su You Tube dalla Penguin USA, editore del romanzo:



E il testo del primo paragrafo (per me, un puro godimento...)

She came along the alley and up the back steps the way she always used to. Doc hadn't seen her for over a year. Nobody had. Back then it was always sandals, bottom half a flower-print bikini, faded Country Joe & the Fish t-shirt. Tonight she was all in flatland gear, hair a lot shorter than he remembered, looking just like she swore she'd never look.

'That you, Shasta?'

'Thinks he's hallucinating.'

'Just the new package I guess.'

They stood in the street light through the kitchen window there'd never been much point in putting curtains over and listened to the thumping of the surf from down the hill. Some nights, when the wind was right, you could hear the surf all over town.

'Need your help, Doc.'

'You know I have an office now? just like a day job and everything?'

'I looked in the phone book, almost went over there. But then I thought, better for everybody if this looks like a secret rendevous.'

Okay, nothing romantic tonight. Bummer. But it still might be a payin gig. 'Somebody's keepin' a close eye?'

'Just spent an hour on surface streets trying to make it look good.'

'How about a beer?' He went to the fridge, pulled two cans out of the case he kept inside, handed one to Shasta.

'There's this guy', she was saying.

Son già tutto bagnato...

P.S: Piccola aggiunta... qui potete scaricare l'intero primo capitolo del nuovo romanzo, gentilmente offerto dalla Penguin e da Amazon.

giovedì, luglio 09, 2009

LOVE SONGS. 01: David Gray, "Please forgive me"

Nuova etichetta per animi romantici...

David Gray l'ho conosciuto ascoltando la colonna sonora di Scrubs e di Garden State.



Ed ecco il testo (magari prima o poi metto anche una traduzione...):

Please forgive me
If I act alittle strange
For I know not what I do.
Feels like lightning running through my veins
Everytime I look at you
Everytime I look at you

Help me out here
All my words are falling short
And theres so much I want to say
Want to tell you just how good it feels
When you look at me that way
When you look at me that way

Throw a stone and watch the ripples flow
Moving out across the bay
Like a stone I fall into your eyes
Deep into some mystery
Deep into that mystery

I got half a mind to scream out loud
I got half a mind to die
So I wont ever have to lose you girl
Wont ever have to say goodbye
I wont ever have to lie
Wont ever have to say goodbye

Yeah na na na na
Yeah na na na na

Please forgive me
If I act alittle strange
For I know not what I do
Its like my head is filled with lightning girl
Everytime I look at you
Everytime I look at you
Everytime I look at you
Everytime I look at you

mercoledì, aprile 01, 2009

MY FAVOURITE THINGS. 01: My favourite things

In un inno alla tautologia, decido di varare il nuovo corso del blog (anche su punzecchiatura e stimolo del gaberiano Garamond...) con un post che inaugura l'etichetta "my favourite things", elenco non ragionato di cose che mi piacciono e che costituiscono la mia personalissima lista di passioni/piaceri (più o meno confessabili) passati e presenti...



Il testo della canzone originale (musica di Richard Rodgers, parole di Oscar Hammerstein II) resa celebre da Julie Andrews nell'adattamento cinematografico di The sound of music, recita:

Raindrops on roses and whiskers on kittens;
Bright copper kettles and warm woolen mittens;
Brown paper packages tied up with strings;
These are a few of my favorite things.

Cream-colored ponies and crisp apple strudels;
Doorbells and sleigh bells and schnitzel with noodles;
Wild geese that fly with the moon on their wings;
These are a few of my favorite things.

Girls in white dresses with blue satin sashes;
Snowflakes that stay on my nose and eyelashes;
Silver-white winters that melt into springs;
These are a few of my favorite things.

When the dog bites,
When the bee stings,
When I'm feeling sad,
I simply remember my favorite things,
And then I don't feel so bad.